lunedì 22 febbraio 2010

Testo interpretativo del componimento “Alla luna” di Giacomo Leopardi

1             O graziosa luna, io mi rammento
2             che, or volge l’anno, sovra questo colle
3             io venia pien d’angoscia a rimirarti:
4             e tu pendevi allor su quella selva
5             siccome or fai, che tutta la rischiari.
6             Ma nebuloso e tremulo dal pianto
7             che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
8             il tuo volto apparia, che travagliosa
9             era mia vita: ed è, né cangia stile,
10           o mia diletta luna. E pur mi giova
11           la ricordanza, e il noverar l’etate
12           del mio dolore. Oh come grato occorre
13           nel tempo giovanil, quando ancor lungo
14           la speme e breve ha la memoria il corso,
15           il rimembrar delle passate cose,
16           ancor che triste, e che l’affanno duri!

TESTO INTERPRETATIVO:

Il componimento analizzato è il quattordicesimo dei quarantuno scritti poetici del Leopardi raccolti nei Canti (prendendo in esame la versione definitiva uscita postuma nel 1845 a Firenze presso l'editore Le Monnier a cura di Antonio Ranieri); il titolo della composizione è “Alla luna” e, in base sia al tema trattato, sia alla posizione che occupa nell'ordine della raccolta e sia alla lunghezza complessiva, può essere considerato di genere "Idilliaco".

Scritto nel 1819, questo componimento è assolutamente significativo poiché in tale data Giacomo Leopardi tentò di dare una svolta alla propria vita.

Già nel 1817 aveva intrapreso un'intensa comunicazione epistolare con Pietro Giordani che tentava di incoraggiarlo ad un'affermazione individuale così da favorire la rottura con le posizioni cattoliche e reazionarie della famiglia ma nel 1819, dopo aver ricevuto una visita dallo stesso Giordani a Recanati, Giacomo Leopardi decise di tentare la fuga dall'oppressiva vita famigliare.

Come abbiamo già indicato, si tratta di un Idillio quindi risulta di facile comprensione che il tema trattato è (SIA) un tema prettamente naturale. Già il titolo ci fornisce indicazioni in merito al soggetto a cui è dedicato il componimento, ovvero la Luna che viene rimirata ("rimirarti" v.3) dal poeta dal colle, il monte Tabor, citato anche nell'Infinito. Luna che guardò sempre dallo stesso colle un anno prima, con uno stato d'animo angosciato (pien d'angoscia v.3).

Il componimento è formato da 16 versi in endecasillabi sciolti e ampio è l'uso fatto della sinalefe e dell’enjambement il che ci mette chiaramente in evidenza l'intento dell'autore: trattare di temi importanti che quindi necessitano di proposizioni più lunghe.

Il testo si apre con un'invocazione alla luna, personificata dal poeta e definita graziosa forse per la luce che emana, ovviamente più debole e dolce rispetto a quella del sole, e forse per la leggerezza che sembra avere nell'oscurità del cielo. Segue poi una spiegazione del motivo per il quale il poeta scrive questo brano poetico, ovvero il fatto che è passato un anno dall'ultima volta in cui era stato sul colle a guardarla, con uno stato d'animo fortemente angosciato; forte è la simmetria che il Leopardi fa (CREA) tra la sua emotività e la luce della luna: luce che si è mantenuta costante e che quindi tutt'ora continua a rischiarare la vegetazione che si trova ai piedi del colle parimenti all'emotività del poeta che, sebbene sia passato un anno, è rimasto sempre "pien d'angoscia". Interessante quindi questo rapporto tra passato e presente, rintracciabile nel verso 9 "era la mia vita: ed è [.]"e nei versi 4 e 5 “allor”….”or”… e l'importanza che viene data alla luce, richiamata dalla sineddoche del verso 7 "alle mie luci", ad intendere gli occhi del poeta.

Al verso 10 torna l’invocazione alla luna, che ora e’ “diletta” e “mia” per il poeta, come se, dopo il graziosa del primo verso che sottintende una certa distanza del soggetto contemplativo dall’oggetto contemplato, l’autore avesse voluto sottolineare una loro più stretta intimità e comunione di sentimenti.

Sebbene il poeta sia in questo stato di sofferenza, il ricordo delle cose passate non lo rende triste ("mi giova" v.10) perché, pur nel permanere della sofferenza, gli è di conforto, anche se si accompagna a sensazioni tristi e anche se l'affanno esistenziale perdura ancora.

Importante poi il verso 13 nel quale afferma che resta comunque la speranza degli eventi futuri ("lungo [il tempo de] la speme [.]).

Infine risulta chiaro il motivo per cui questa opera è da considerarsi importante all’interno delle vicende biografiche dell’autore poiché ci mostra il suo stato d'animo e quindi ci fa intendere, sottilmente, la sua volontà di fuggire da Recanati per recarsi in posti meno oppressivi, lontano dalla sua famiglia.

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